A blog from World War 2 | Un Blog dalla Seconda Guerra Mondiale

3 maggio 1945

Stamattina siamo andati a Piazza Roma per vedere se ci sono corriere che vanno a Mestre, visto che ci sono, torniamo alla caserma, prendiamo la poca roba che abbiamo e torniamo alla piazza. Prendiamo la corriera e andiamo a Mestre, qui non ci sono i mezzi, decidiamo di andare a piedi a Padova. Io, quello di Roma, e 3 albanesi ci mettiamo in cammino per Padova. Fatti pochi kilometri arriviamo a un posto di blocco americano. Qui i soldati ci fermano e ci domandano dove andiamo, gli rispondiamo che dobbiamo andare a Roma, ci fanno aspettare, appena arriva un camion americana ci fanno salire a tutti. Dopo camminato un bel po’ si è fermato e stiamo fermati circa un ora e mezza. Durante la nostra sosta, scendo e domando a una masseria vicino alla strada come mai ci hanno fermati lì, mi risponde che si è rotto il ponte di barche sull’Adige, e per questo incidente si è fermato una colonna di automezzi di circa 5 kilometri.

Quando attraversiamo l’Adige sta calando il sole. Poi più tardi attraversiamo il Po a Ferrara. Poco lontano da Bologna ci fanno scendere. Sono arrivati alla loro base. Qui passiamo il resto della notte.

4 maggio 1945

Ci mettiamo a camminare per Bologna, passa un carretto e ci mette sopra la poco roba che portiamo e noi camminiamo a piedi. Verso le 8:00 siamo a Bologna. Qui ci presentiamo a una caserma di soldati dove c’è molta gente in fila vicino all’entrata. Ci sono famiglie intere a centinaia, a migliaia che vogliono andare al sud, e da questa caserma, ogni mattina, partono i camion per portare questa gente al sud. Ci mettiamo in fila, ma arrivato al numero stabilito, chiudono e tutti quelli che non sono potuti partire li mandano in un’altra caserma poco lontano. Qui ci sono delle grandi camerate senza letti, qualche pagliericcio per terra e famiglie intere che dormono qui, tutti per terra a gruppi familiari. Noi ci arrangiamo ognuno per conto suo chi a un posto chi a un altro e così passiamo la notte.

5 maggio 1945

Stamattina siamo andati di nuovo alla caserma dove partono i camion, mentre mi sto mettendo in fila, vedo un carabiniere che mi pare di conoscere, ci vado vicino e gli domando: ma tu non sei quello che lavorava con Vincenzo Verrengia a Casale? Mi risponde di sì. Gli chiedo da quanto tempo manca da Casale, mi risponde che è da poco e mi assicura che là stanno tutti bene e che non è successo niente. Con questa notizia resto molto contento e tengo speranza che neanche a mia moglie, i miei figli, le mie sorelle, e mio padre, non sia successo niente e che stiano tutti bene.

Si è fatto tardi, il turno dei partenti è finito. Chiudono e neanche oggi siamo stati inclusi nei partenti. Facciamo qualche camminate per la città in cerca di comprare qualche cosa per mangiare e torniamo alla caserma per dormire, c’è un tanfo insopportabile stiamo come gli animali, ma tutto questo per me non è niente, ormai si sta avvicinando il bellissimo giorno in cui potrò finalmente abbracciare tutti i miei cari, e poi sono lontano ormai dagli ordini e dalla schiavitù degli assassini e luridi tedeschi, specie da quello schifoso di Rockinger. Poveri miei amici compaesani che sono rimasti ancora in quella maledetta fabbrica e in quel Lager puzzolente. Quelli non potranno mai lasciare la fabbrica finché non arrivano gli alleati e metteranno una pistola dietro la nuca del loro Boia Rockinger.

6 maggio 1945

Stamattina siamo andati ancora a fare fila per prendere il nostro numero per partire, ma neanche oggi ce l’abbiamo fatta.

7 maggio 1945

Di nuovo in fila alla Caserma, stamattina controllo un po’ i numeri che hanno quelli che scorrono, guardo il mio numero e vedo che oggi ci entro anch’io nei partenti. Ma man, mano che la gente esce col biglietto di partenza, io non mi avvicino all’ingresso. Mi accorgo che c’è un imbroglio. Allora esco dalla fila e giro intorno alla caserma, qui trovo il portone grande aperto e molta gente entra di nascosto di qua. Entro anch’io naturalmente e mi fanno il biglietto. Esco e dico a quello di Roma che si tolga dalla fila e corre dove sono andato io. Torna indietro e mi dice che l’hanno chiuso. Lo saluto, gli dico che parto fra qualche ora. Mi prega di aspettarlo per il giorno dopo, gli rispondo: Mi dispiace ma non posso aspettare perché sono 20 mesi che non vedo la mia famiglia, mio padre, le mie sorelle, e tutti, e non so se è successo qualcosa e non vedo l’ora di abbracciarli tutti. Verso le 11:00 partiamo su un camion, ci portano a un altro baraccamento vicino Forlì. Mentre sto camminando vedo Pasquale Migliozzi, è un ragazzo di Casale di 20 anni, anche lui era a Monaco deportato come noi. Gli dico come mai si trova qua, mi risponde che la fabbrica dove lavorava lui l’hanno lasciati liberi e cosi è arrivato fin qui. Insieme ci portano in un posto dove ci sono soldati americani; ci fanno fare la doccia poi ci mettono certa polvere addosso per disinfettarci e la notte la passiamo qui.

8 maggio 1945

Con i camion ci hanno portati a Rimini, le ferrovie fin qui sono tutti fuori uso. Qui prendiamo il treno – cavalli 8, uomini 40, ma siamo quasi il doppio, ma non m’importa sono contentissimo anche se ci fanno viaggiare nell’immondizia. Verso le 1:00 siamo a Roma, io e Pasquale Migliozzi. Appena scesi prendiamo un tram e andiamo a casa di mio cugino Domenico Piccirillo in Via Ostilia 36 che io già conosco da molto tempo, essendoci stato più di una volta. Appena mi vedono salire le scale, restano sorpresi tutti, le figlie che sono tutte a casa, la moglie Adalgisa. Mi assaliscono di domande, gli spiego un po’ la mia Odissea. Poi arriva Domenico mio cugino anche lui è tanto contento e commosso vedendomi bene. Dice: “Ora mangiamo, poi vi riposate un po’, stanotte dormirete qui da noi e domani ve ne andrete a casa.” Gli rispondo: “Mangiamo qua, ma appena mangiato me ne voglio scappare.” Desidero di arrivare oggi stesso a casa, allora mio cugino si rivolse al figlio Renato, che in quel frattempo è venuto pure lui e gli disse di accompagnarci a Piazza San Giovanni, disse che là ci sono sempre camion che vanno al sud. Ci salutiamo con tutti e andiamo a piazza San Giovanni. Dopo un po’ arriva un camioncino diretto a Napoli, gli chiediamo se ci può portare, dice di sì e saliamo. Nel cassone ci sono altri uomini. Gli chiedo quanto dobbiamo pagare ci chiede 500 lire a persona. Gli do 500 lire, si rivolge a Pasquale per le altre 500 lire, gli rispondo che quelli che gli ho dati io sono per tutte e due, si accontenta e partiamo. Verso le 7:00 arriviamo al bivio di Casale e Ventaroli. Qui scendiamo, camminiamo a piedi fino alle prime case di Casale. Qui ci fermiamo, scrivo una cartolina che mi sono procurata a Roma e la do al figlio di Giuseppe Taffuri, Gennarino, lo prego di portarmela a casa e dire a mia moglie che ce l’ha data un’uomo che ha visto a Sessa Aurunca e che questo tale mi ha visto a Roma il giorno prima. Dopo una decina di minuti mi metto a camminare, sono emozionatissimo. Al ponte della “Crucella” c’è una marea di gente che mi viene incontro. Incontro Gennarino e gli domando a chi ha consegnata la cartolina, mi risponde che l’ha data al padre di mia moglie, però a lui gli ha detto la verità, cioè che io sono fermo a casa sua.A casa di Giuseppe Taffuri ho subito chiesto notizie di tutti i miei cari, mi hanno assicurato che stanno tutti bene. A circa 20 metri vedo un bambino che mi corre incontro a prima vista mi sembra il figlio di Peppino La Vecchia, Carluccio, tanto è cresciuto, ma poi conosco che è il mio Antoniuccio e lo abbraccio con tutto l’affetto e l’amore di un padre che è stato tanto lontano e con poche speranze di ritornare vivo tra i suoi cari. La gente mi tempesta di domande, tutti mi abbracciano, e insieme a loro cammino verso casa. Arrivato davanti al portone di Via San Pasquale 14 dove abita la mia famiglia, si raduna tanta gente che non posso neanche entrare, tutti mi stringono la mano, mi domandano come stanno gli altri Casalesi, li assicuro che stanno tutti bene, poi mi apro un varco con le braccia e entro. Qui finalmente posso abbracciare la mia cara moglie, la mia bambina, mio padre, e tutti. Iddio mi ha fatto la grazia e questo è e sarà il più bel giorno, il più bello evento della mia vita. Qui finisce il mio diario.
8 Maggio sera 1945


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